Un consulente finanziario indipendente, slegato da qualsiasi realtà finanziaria coinvolta e che non distribuisce strumenti finanziari propri, non percepisce alcuna retrocessione dalle banche depositare o da altri operatori finanziari che sono soggetti terzi rispetto ad essa, vede il suo compenso qualificato come imponibile ai fini Iva, con conseguente applicazione dell’imposta in sede di rivalsa verso il cliente.
E’ quanto ha precisato l’Agenzia delle Entrate con un interpello che lo studio Loconte definisce di portata “storica”, soprattutto in relazione all’entrata in vigore di Mifid2 che prevede una netta distinzione tra consulenza indipendente e non. La prima, in particolare, prevede che il pagamento del professionista avvenga solo attraverso commissioni di consulenza e di performance addebitate sul patrimonio del cliente/investitore al quale viene prestato il servizio.
L’avvocato Stefano Loconte, che ha curato l’interpello per conto di un professionista, ricorda che le Entrate con questo provvedimento “sovvertono ciò che era stato sostenuto fino a questo momento, anticipando gli orientamenti comunitari. Finora, le attività di consulenza finanziaria erano state considerate nella fattispecie della esenzione Iva: l’imposta c’è, ma non viene applicata per esenzione. La novità sta nel riconoscimento, da parte delle Entrate dell’indipendenza giuridica ed economica del consulente e del fatto che questo requisito di indipendenza fa uscire il professionista dal regime di esenzione dell’Iva”. L’imposta al 22% viene dunque addebitata. Ma non c’è il rischio di vedere aumentare i costi per i clienti? “Ma il prezzo è più che compensato dalla valorizzazione dell’indipendenza, che viene certificata anche dalle Entrate: queste avranno strumenti in più per accertare ed eventualmente sanzionare il comportamento del consulente, che non potrà più nascondere eventuali retrocessioni di commissioni e provare a dichiararsi insieme indipendente”.